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La mancia

Aggiornamento: 27 apr 2021

La prebenda in tempi di guerra



La mancia è una modesta somma di denaro che è abitudine lasciare, oltre al dovuto, come ricompensa per un servizio ricevuto. La si usa soprattutto al ristorante, in albergo e per arrotondare il pagamento dell’amico tassista. Ma perché la chiamiamo così? L’origine è legata alla povertà in cui versava la servitù francese dei secoli addietro: la manche era la manica degli abiti e delle camicie indossate da chi lavorava a servizio. La parte che più si consumava tanto da dover essere spesso sostituita perché il servo mantenesse il decoro dell’abito. Il servo infatti non sempre aveva stipendio, ma solo vitto ed alloggio ove prestava servizio. Di qui il gesto magnanimo del padrone di affidargli un obolo affinché provvedesse a rammendare l’abito. I francesi oggi non usano più quel termine. In America, la tip è addirittura la base defiscalizzata dello stipendio. Noi invece, poco inclini a queste abitudini, l’abbiamo elevata di rango e portata nelle istituzioni.


Ma per destinatari diversi.


Oggi la mancia è la prebenda che lo Stato in tempi di guerra (perché questa era del virus è bellica e avremo modo di sperimentarlo) riconosce ad alcuni settori economici. Non per tutti, ovvio. In economia le risorse sono scarse, l’arte è saperle ottimizzare. E quindi lo Stato sceglie di spendere qualche miliardo di euro in un colpo solo per nascondere a te, assicurato alla gestione previdenziale pubblica, il baratto che ti ho imposto: non solo non sono riuscito mai a darti regole chiare, ma, in un momento del genere, mentre la partita più ostica tu abbia giocato è in corso, le cambio per arginare la mia incapacità.

Quanto si legge nelle bozze del decretino di ieri (a proposito qualcuno ne ha notizia?) fa rabbrividire gli addetti ai lavori. La previsione di una ingente spesa complessiva per sostenere l’importo una tantum che l’istituto previdenziale pubblico elargirà a tanti sui iscritti. Certo è un modo per rispondere alla emergenza in tempo di scarsi incassi se non addirittura nulli per chi ha chiuso. Ma la vicenda assume i contorni del paradosso se, nelle pieghe delle norme, il medesimo Stato si concede la possibilità di allungare i termini di accertamento tributario (e quindi anche previdenziale per l’effetto imponibile sul piano fiscale) di ben due anni. Si due anni in più per controllare che tu non abbia fatto il furbo, che tu sia affidabile nei miei algoritmi. I denari che mi devi oggi, me li dai fra 4 giorni (forse) o al massimo fra due-tre mesi. Nel frattempo ti riconosco una mancetta. Ma stai attento perché poi controllerò per i prossimi 7 anni il reddito finora da te dichiarato.

Ecco perché è una mancia. Rammendati il vestito perché occorre tu sia decoroso, tanto alla fine, come servo sciocco sei tu a pagare me, non viceversa.


Riproduzione riservata (Pennisi & Partners)


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